Chiamateci “Action Tank”

Sono tutti professionisti ben pagati. Hanno deciso di mettere le loro capacità a servizio del paese. Gratuitamente. Eccoli.

 
Sono già un’ottantina, e hanno una mission, apparentemente impossibile: regalare soluzioni chiavi in mano per risolvere problemi. Quali? Quelli più urgenti e seri che investono la nostra società ed il nostro paese e che ne mortificano la competitività. Per esempio, come dare presto l’ossigeno che manca alle imprese di piccolo calibro sotto forma di credito, prima che siano tutte condannate a tirare giù la saracinesca, oppure come addomesticare la spesa sanitaria, seconda voce della spesa pubblica. Rompicapi per governi e forze speciali, mali endemici, handicap antichi. La parola d’ordine comune? Fare qualcosa per il proprio paese. Sono degli alieni? No, perché hanno tutti un passaporto italiano, sono professori universitari, uomini di finanza, amministratori delegati di aziende, esperti del mondo della consulenza o banchieri, medici e giuristi, sono insomma dei professionisti. Ma lavorano gratis. E semmai la loro alienità sta proprio in questo mettere a disposizione il proprio talento senza staccare neppure una parcella, in questo forte impegno civico. Cosa lunare di questi tempi.
Il gruppo si chiama Action Institute, e si distingue dai tanti think tank su piazza sotto molti aspetti. Intanto è slegato dai partiti, poi è del tutto autofinanziato e assolutamente autonomo sia nella scelta dei suoi membri che dei temi di cui si vuole occupare. L’origine e l’anima di Action è una donna di 35 anni, Carlotta de Franceschi, laurea in Bocconi, master ad Harvard, carriera fulminante nelle banche d’affari. “A 22 anni sono andata a lavorare a Londra da Goldman Sachs, poi a New York a Morgan Stanley, poi al Crédit Suisse. Dopo 12 anni di esperienza ero a un bivio, e in visita ad Harvard l’ex rettore della Kennedy School mi ha detto: perché non crei un think tank? Con molti ex alunni di Harvard, ma anche del Mit e di Stanford, condividevamo il sentimento di offrire le competenze raggiunte al servizio del nostro paese. Ho preso un sabbatico e mi sono messa al lavoro”, così racconta de Franceschi, il viso diafano che ricorda l’attrice Tilda Swinton, la determinazione di un bulldozer. Quel primo nucleo di giovani professional cresciuti nelle università anglosassoni con la percezione di essere privilegiati ma anche di voler “restituire” qualcosa del proprio capitale di competenze – il “give back” alla nazione è quasi una regola di morale negli Usa – trova ascolto e affinità in Bocconi. Dove due cattedratici come Guido Tabellini e Alfonso Gambardella, insieme all’economista Alberto Alesina e al Nobel Michael Spence, entrano nel comitato scientifico di Action. La struttura prende corpo con precisione militare: quattro tavoli di lavoro (credito, sanità, innovazione, valorizzazione del capitale umano), una insistenza rigida sui principi da condividere (il senso civico, l’integrità, il valore dei componenti del gruppo e la loro indipendenza), e una regola di fondo. Quello di arrivare a formulare proposte concrete e realizzabili: se dovessero avere un impatto sui conti pubblici, occorre anche trovare una soluzione. Per ottenere la pubblicazione, devono avere il via libera di quel comitato scientifico al top.
Per lavorare ad Action, che più che un “think” si definisce appunto un “action tank”, occorre essere bravi, anzi eccellenti. Essere esperti della materia di cui si parla. E avere una reputazione immacolata. Il network si è costruito quindi sul passaparola, in cui ognuno ha tirato dentro le persone che stimava. Oggi sono una ottantina i professionisti di diversa estrazione che prestano la loro esperienza ad Action, in forma stabile o per progetto, e che si incontrano pro bono ogni sei settimane. Per costruire la proposta sul tema del credito si è reso disponibile il vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco, uno dei pochi italiani al vertice delle istituzioni internazionali, che ha collaborato con Stefano Visalli, senior partner di McKinsey e capo-progetto di Action; sulla sanità, accanto al capo-progetto Paolo de Santis, anche lui partner McKinsey, ha partecipato Luciano Ravera, direttore generale dell’Istituto clinico Humanitas, considerato il quarto ospedale più innovativo al mondo, e il commissario della Asl di Salerno, il colonnello dei carabinieri Maurizio Bartoletti. Nel comitato di indirizzo di Action Siedono Alessandra Genco, manager Finmeccanica, e Alessandro Piol, general manager di Vedanda Capital a New York. Ovviamente nei curriculum i master si sprecano, i dottorati (phd) pure, e esperienze internazionali anche. Marchio di fabbrica anche degli under trenta che lavorano nel team, passati da Boston, Tokyo, Shanghai.
A fare da collante a questo capitale umano spontaneo c’è il senso di emergenza. C’é l’idea che il paese vada aiutato e rimesso sui binari della crescita, e che non ci sia ormai più tempo da perdere. Ma per fare, fare davvero, non bastano i progetti, per quanto concreti: occorre dialogare con le istituzioni, fertilizzare i centri decisionali, smuovere gli uomini e le burocrazie. “Il metodo è appunto quello di sottoporre il nostro lavoro alle istituzioni, al governo, ai ministeri, e recepire il loro input per perfezionare le soluzioni”, dice de Franceschi, fresca di presentazione alla Camera della proposta per migliorare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese grazie a un veicolo finanziario che utilizzando i fondi europei metta in circolo 150 miliardi di nuovi crediti.
Ora ad Action sta per partire l’operazione fund raising. Intanto, si meritano un grazie.

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