Credit Crunch, la ripresa economica passa dal credito

Immaginate un giorno di tempesta sul mare, uno di quei fortunali che, soprattutto a fine stagione, si abbattono sulle nostre coste, annunciati da nuvole nere come la pece, fulmini in technicolour e la sensazione di essere dentro un film sui disastri della natura, dove anche i pini secolari si spostano con il vento. E ricordate la fuga dalla spiaggia, il riparo nelle cabine, al bar del bagno, dove la temperatura, soprattutto se finivi nella cabina con la fidanzatina di turno da soli, diventava insopportabile. Finché la pioggia smetteva, si riducevano i rossori e si tornava sull’arenile devastato dai venti, con gli ombrelloni abbattuti, il mare ancora grosso ed ondoso e bandiere rosse che seguivano il ritmo del fischio e dello stridio delle corde e delle gomene delle barche a vela.

Sulla stessa spiaggia, sono sicuro, in quelle condivisioni di spazi angusti, per gli ultimi anni si è elevato regolarmente il mantra dei discorsi sulle banche che avevano smesso di prestare, della finanza speculativa, delle rendite finanziarie, di questa misteriosa macchina che ingoia soldi, fiducia e speranza per sputare titoli, azioni e problemi. Sotto all’ombrellone, come nei bar e sulle piste da sci, nei talk show, in ogni chiacchierata fra due persone che vogliano capire qualcosa sul futuro, un futuro in cui, sembra, dovranno cambiare i punti di riferimento finanziari, si è cominciato a parlare tantissimo di credito, di linee di denaro caldo, di mutui e di costo del finanziamento.

Nel 2008, si è interrotto il meccanismo della fiducia verso il sistema finanziario. Oggi, all’alba del 2014, assistiamo ad un mondo che sta ancora cambiando. Stanno nascendo alternative ai canali finanziari tradizionali, da un lato con la crescita dello shadow banking, dall’altro con le prospettive di autofinanziamento attraverso la rete. Ma, soprattutto, come notato dalla Banca Mondiale in queste settimane, stanno cambiando i flussi dei capitali internazionali, sempre più focalizzati sulle aree emergenti del pianeta, con un’emorragia di depositi ed investimenti verso i paesi sviluppati. Il vento si sta spostando.

Mentre, in Occidente, soprattutto in Europa, stiamo entrando in un periodo di calma piatta, di bonaccia, in cui le persone aspettano a prendere decisioni importanti, o, molto più semplicemente, a consumare quello che non è necessario. Non è un male in sé, ma il trend deflazionista, con tassi di interesse a livelli bassissimi, parlano di una potenziale trappola per l’economia. La stagnazione non è mai un’opzione, accade. Come altre cose accadono, stanno progredendo, come la disintermediazione bancaria, facendo perdere agli istituti di credito quel ruolo vitale di filtro fra economia reale e mercati.

Purtroppo, gli amori estivi nelle cabine coperte da aghi di pino non torneranno, mentre potrebbero benissimo tornare tempeste finanziarie come quella del 2008, che ancora minaccia da lontano, e tornerà nel dibattito il ruolo delle banche e della finanza nella crescita economica.

I politici, dopo aver imposto regole draconiane, dovranno tornare indietro di qualche passo, come sta accadendo con gli ultimissimi accordi di Basilea sui coefficienti di capitale, correlati con l’ammontare di rischio che una banca può prendere. Quindi, nel 2014, si parlerà tantissimo di credito, di finanza e spero che si cominci a parlarne con molta più ragion veduta ed in maniera costruttiva. C’è fame di credito, ma, soprattutto di credibilità e di fiducia e solo un piano strutturato può essere una soluzione: un approccio fra i decision maker di politica economica che tenga conto non solo dei populismi e delle frasi ad effetto sulla finanza cattiva, ma che proponga una via di uscita, di risoluzione e, soprattutto, di rigenerazione di quei canali della speranza e di costruzione del futuro che passano anche dalle banche.

Con questo spirito, questiono il fatto che, a parte qualche dichiarazione abbastanza generalista, nel Jobs Act non si parli assolutamente di credito ma addirittura si definisca una visione del mondo dell’economia suddivisa in due categorie, quella dei “generatori di lavoro” e di “creatori di rendite finanziarie”, una suddivisione che non rende giustizia alla complessità del sistema economico e che crea fantasmi piuttosto che sviluppare una revisione radicale del rapporto fra mezzi ed usi nell’economia . Non confondiamo innanzitutto le rendite finanziarie con le transazioni finanziarie, sono due cose diverse, ma hanno due caratteristiche in comune: nella modernità e nella corrente flessibilità dei flussi monetari, ogni forma di coercizione del capitale diventa difficile ed una potenziale emorragia di depositi ed investimenti a cui già si assiste in Italia, ogni tassazione addizionale avrebbe solo l’effetto di deprimere ancora di più i mercati dei capitali.

Per spiegare la sottile linea fra “generatori di lavoro” e “assorbitori di rendite finanziari”, uso la Nutella, un esempio caro all’amico Matteo Renzi. Lui lo usa per parlare di una politica personalizzata e diretta, come il marketing virale dello scorso anno, io per descrivere quel meccanismo di calmierazione che la finanza può avere sull’economia reale. Nella vita poche cose sono certe, ed una di queste è che la Nutella non costerà mai oltre un certo prezzo, un bene benchmark dell’andamento dell’economia reale; il Kinder Index.
Sia chiaro che senza la finanza dei capitali e dei mercati, quella dei derivati e dei futures la Nutella, forse, non potremmo permettercela , figuriamoci un Bueno . Senza contratti derivati sulla lira turca, il dollaro, senza futures sulla nocciola, sul cacao, sullo zucchero, senza derivati sul tasso di interesse e sull’inflazione, il prezzo della Nutella o di qualsiasi crema spalmabile oscillerebbe come quello di una dot.com nel momento apicale della loro esplosione, quotidianamente.
La finanza in questo caso non specula, ma ottimizza, riduce i rischi – li trasferisce potreste dire – ma in un certo senso li spalma su vari anni, su varie tipologie di mitigazione. Come la Nutella, ci sono tantissimi esempi, in cui la capacità di generare reddito, quindi crescita e lavoro, dipendono da come la tesoreria di una società è gestita. Un sistema finanziario di un’economia stabile e positiva calma e smussa gli angoli della performance, mentre, in momenti di incertezza e di sfiducia, potrebbe permettere di ricreare le condizioni di stabilità. La grande crisi del 2008 non fu generata dai derivati, ma dall’impazienza politica e sociale di accettare una graduale riduzione delle aspettative economiche e di reddito. E, quando la tempesta dell’accumulazione e della speculazione ha raggiunto il suo apice, è scoppiata la tempesta.

Allora, caro Matteo Renzi,se proprio vuoi scatenare una rivoluzione nell’economia del paese, parti dal credito; la finanza pubblica, comunitaria, quella delle banche dei territori, delle fondazioni, possono contribuire alle ambizioni del tuo Jobs Act. Le misure incluse nel Patto di Stabilità e nel visionario Destinazione Italia sono componenti essenziali, ma sono palliativi che interessano situazioni pregresse, come il miliardo ed otto del Patto di Stabilità destinato soprattutto a chiudere questioni aperte, storiche, a settori di nicchia, come quello dei microbond. Ma tutto serve

Gestire i rischi, ma anche le opportunità – Il 2014 sarà un altro anno di ricalibrazione del sistema finanziario mondiale. Le banche Italiane e europee dovranno attraversare un periodo di riforme e di cambiamenti e, soprattutto di valutazioni vicine e dettagliate della Banca Centrale Europea e delle istituzioni europee, per determinare quali siano i rischi sistemici che abbiamo di fronte. Lo stress test europeo, atteso ad una sua conclusione nei prossimi mesi, determinerà quanto capitale dovrà essere raccolto in Italia per risolvere il pregresso. Ci sono valutazioni discordanti su questo, come spiegato recentemente in un eccellente articolo del Bruegel Institute, fra i 50 ed i 600 miliardi di capitale addizionale per costruire un cuscinetto che riduca al minimo l’impatto di un altro shock come il 2008, come quelle barriere di scogli e massi all’entrata dei porti.

La ripresa economica al momento è equivalente ad un dubbio amletico: ci sarà o non ci sarà. La fase di lenta crescita in Europa – ancora inesistente in Italia – è ancora troppo debole, come dicono gli euroscettici o, forse, siamo di fronte ad una nuova accelerazione dell’economia europea. Tuttavia, manca ancora una stima di quanto credito e di quanto finanziamento necessiti una macchina dell’economia che riparte, dopo il fortunale, quante braccia, quante ore di lavoro, quanti soldi sono necessari da qui a cinque, dieci anni.

Il Jobs Act dettaglia maniere in cui estrarre efficienze e semplificare l’amministrazione, la struttura stessa della società italiana, basata sul primato del lavoro fisso e della mobilità a due velocità: quella zero di chi non si sposta dalla casa familiare, e quella a duecento chilometri all’ora, di chi prende armi e bagagli e parte, svanisce, all’estero, al nord, comunque altrove.  Nel contesto delle logiche di espansione economica, una popolazione che emigra ma che non genera rimesse, anzi, che vive sulle generazioni precedenti, non ha uno stimolo, un pungolo a crescere

Allora, la domanda, brutale, è “ma che credito vuoi?”, che forme di investimento e di supporto devono essere costruite per un piano ambizioso, che parla di sud e di imprenditoria femminile? Uno dei problemi italiani è stato quello della eccessiva laboriosità di accesso ai finanziamenti pubblici, nella disciplina ancora manuale e poco trasparente dei rapporti con le banche, della diffidenza verso forme nuove di investimento e nell’imperversare non tanto dello shadow banking ma di un settore finanziario molto informale, creato dalla criminalità organizzata e dal money laundering dell’evasione fiscale.

 

Allora, un Piano del Credito deve partire da alcune misure semplici, ma efficaci:

Trasparenza Creditizia – In Italia, a differenza di altri mercati europei, le persone e le piccole imprese non possono avere accesso immediato ed on line ai loro credit report, o i rating personali, che sono comunque condizione essenziale per avere credito. Nel Regno Unito basta pagare una commissione annuale ed il cliente può sapere sempre quale è il suo merito creditizio ed anche controllare multe non pagate, fedina penale, etc –  tutto aggregato e tutto disponibile 24 ore su 24. Allo stesso tempo, i clienti delle banche non hanno accesso immediato alla Centrale Rischi ed a quello che il sistema bancario italiano ha disponibile. Dovrebbe essere possibile ai cittadini avere accesso a queste informazioni, cambiando norme e leggi che impediscono al momento accesso on line a file creditizi individuali o societari. Trasparenza del sistema si deve estendere alla scomposizione del costo del credito del cliente nelle sue componenti: rischio paese/rischio controparte/rischio creditizio dettato dal rating e durata del finanziamento.

Educazione Finanziaria – La Banca d’Italia ha lanciato alcuni programmi iniziali di educazione finanziaria, ma dovrebbero essere resi istituzionali ed obbligatori. Chi prende un mutuo dovrebbe fare un corso, finanziato dalle banche, per insegnare come gestire le proprie finanze e i flussi, quella che in inglese si chiama Affordability, la disponibilità finanziaria. Bisogna educare le masse, la cosa di sinistra che più di sinistra ci sia. Allo stesso tempo, competenza e conoscenza delle tematiche dei mercati e della finanza dovrebbero diventare parte del curriculum scolastico, fino dalle elementari. Mia figlia già fa corsi , ad otto anni, dove spiegano come risparmiare e spendere. Quando ero bambino, uno dei gesti classici era quello di aprire il conto in banca per i figli ed i nipoti e mi ricordo quando andai con il mio nonno nella sede della Banca Toscana per aprire il mio primo libretto di risparmio, avevo forse dieci anni. Quella cultura del risparmio e della gestione oculata delle risorse finanziarie, magari tradotta in app e giochi, in un episodio di Peppa Pig. In realtà, il problema è enorme, perché pertiene alla competenza, al livello di conoscenze professionali, di training e di formazione che ci si aspetta per mantenere una forza lavoro, soprattutto nel settore pubblico ed in quello finanziario, che sappiano capire i problemi ed agire di conseguenza.

Sbloccare il credito – quando si parla di credito, bisogna fare una distinzione fra soluzioni che risolvano le questioni pregresse, come labad bank invocata da più parti, e le misure pubbliche di intervento per agevolare settori come quello immobiliare, ma che corrono il rischio di creare altre bolle speculative. Una strada possibile è quella dilasciare al mercato il compito di trovare soluzioni; alle persone e alle imprese di decidere come e dove utilizzare fondi addizionali. Le banche devono liberarsi il bilancio da posizioni incagliate, ma allo stesso tempo soluzioni di garanzie parziali pubbliche, come quella sviluppata nel tavolo del credito di Action Institute, un think tank che ha presentato una proposta al parlamento per usare Fondi comunitari per programmi di prestiti agevolati a imprese – possono far ripartire un ciclo virtuoso. Utilizzare come “garanzia” di alcuni fondi europei oggi semi-dormienti, permetterebbe miliardi di finanziamenti agevolati. L’idea è di usare la finanza strutturata buona per aiutare le banche a alleggerire il loro bilancio, creando – allo stesso tempo – credito nuovo; ciò che quello che vogliono le piccole e medie imprese, che è denaro caldo, le linee a termine, gli scoperti in conto corrente, insomma il denaro per finanziare il capitale circolante e gli investimenti in conto capitale e non per pagare gli interessi sul credito che rimangono alti per colpa delle scelte di politica economica (rischio politico) e le strategie delle banche (rischio di controparte) .

Innovare l’offerta finanziaria (e regolamentarla) – Destinazione Italia ha fatto tanto per creare consapevolezza attorno a nuovi strumenti come i minibonds, il crowdfunding. Il settore finanziario sta per attraversare una fase di cambiamento senza eguali, con una fine della disintermediazione delle banche e la nascita di contatti diretti, peer to peer e di accesso diretto delle persone e delle imprese ai capitali. Il rischio è la mancanza di regolamentazione e la crescita dei free rider, di chi userà il sistema e la rete per arricchirsi. Un governo deve agire responsabilmente e convincere le banche ad innovare ed a creare le premesse per flussi di credito e di flessibilità per i clienti. In questo contesto, un Piano del Credito dovrebbe includere misure specifiche su defiscalizzazione di alcune forme di investimento, rendendo più facile non solo creare impresa, ma trasferire, rendere portabili i debiti, in nuove forme di finanziamento. Le mille regole che legano il cliente alla banca dovrebbero diventare più semplici, creando una forma di competizione orizzontale nel settore e non solo verticale. La diatriba fraequity e obbligazionario, fra debito bancario o ‘crowdsourced’ deve trovare una composizione, ed una regolamentazione che comunque tuteli sia clienti che investitori.

Rivedere le modalità di ristrutturazione e di revisione del credito esistente – Da Equitalia alle banche, c’è bisogno di un sistema di gestione del credito incagliato che passi dalla mentalità del “recupero credito” a quella del “recupero fiducia”. Stato e banche sono in posizione avvantaggiata rispetto ai clienti e il governo dovrebbe trovare soluzioni, dove chi vanta un credito non sia penalizzato, ma dove sia più facile estendere le scadenze di un credito e non far diventare un fallimento o un mancato pagamento uno stigma sociale, ma un potenziale rischio da gestire. Pacta servanda sunt, ma dobbiamo trovare la maniera di farlo ricreando le condizioni per la fiducia fra cittadini ed istituzioni, incluse quelle bancarie .

Rivedere lo schema delle garanzie, incluse le regole per fidejussioni per finanziamenti comunitari e bancari – Se non ci si fida di una persona, non ci si fida neanche di chi gli da credito. Il meccanismo farraginoso di garanzie e controgaranzie bancarie e reali in Italia ha portato alla creazione di società di Confidi che sono affiorate ovunque, spesso a partecipazione mista pubblica/privata. Sarebbe interessante mappare queste realtà e capire quali siano gli sprechi e le ottimizzazioni che potrebbero essere generate, gestendo, per esempio, non decine di Confidi per ogni regione, ma una struttura centrale, parallela alla Cassa Depositi e Prestiti.

Debiti Pubblica Amministrazione – Nonostante le belle parole, ancora rimangono ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, anche a livello locale. Solo per fare un esempio (sempre da un’idea di Action Institute), si potrebbe creare soluzioni per gestire i debiti di specifiche tipologie, come quelli sanitari pregressi nelle regioni, che ammontano a circa 24 miliardi di Euro, permettendo ai fornitori di essere pagati subito, in linea con art. 119 Costituzione , ed accelerando il ciclo del credito.

 

Gestione Rischi del Paese attraverso un Chief Risk Officer nel Governo – Rivedere tutta la gestione dei rischi legati al paese, da quelli finanziari a quelli di reputazione, climatici, ambientali e sociali, in un ottica unitaria. Ne stiamo parlando con alcuni banchieri e esperti di rischio, con un potenziale convegno a Verona a Febbraio. Sta venendo fuori una cosa molto bella e rivoluzionaria : considerare la gestione della cosa pubblica in maniera unitaria, dove i vari costi e rischi si influenzano. Sarebbe il primo tentativo di mappare le correlazioni fra rischi di un paese sovrano. Immaginiamo un terremoto, al momento nessuno valuta come fare a gestire le emergenze, non solo sanitarie, ma finanziarie e sociali, sul lavoro, l’occupazione. Arriva la Croce Rossa, ma dovrebbero arrivare anche tir per portare le merci a destinazione, sportelli automatici di banche, avvocati, geometri, etc. Immaginiamo uno stato pronto con una macchina dell’emergenza che guardi già oltre. La cosa buona è che in Italia sappiamo benissimo che rischi geologici, tellurici, idrici, sociali corriamo ma nessuno li vede in maniera complessiva, olistica.

 

Gestire bene i rischi e dimostrare che si ha conoscenza e coscienza di queste problematiche è un altro elemento importante della stabilità che il paese vuole offrire. Se un investitore vuole spendere del denaro in Abruzzo, per un pastificio, vuole sapere che, in caso di disastro naturale, lo stato interviene e sa come gestire l’emergenza. L’Italia ha il rischio tellurico della California, ma la risposta effettiva, non alle emergenze, ma allo spauracchio del giorno dopo, delle pianure polacche, che non vedono terremoti da migliaia di anni.

 

In questo contesto, allora, caro Matteo, pensaci ad un Piano del Credito, anche per dare nuovi argomenti agli avventori del bar sul mare, dopo la tempesta perfetta che ci ha colpiti per gli ultimi sei anni. Il processo sarà lungo, difficile, elaborato. Ma l’idea deve essere quella di costruire un sistema economico e finanziario che elimini gli sprechi, le duplicazioni, gli istituti non più adeguati ai tempi e generi risorse adatte al futuro.

 

“A volte, penso alle mie giornate e so che devo darmi da fare, muovermi, cercare tutta l’energia del mondo per costruirmi un bozzolo di certezze, come un bruco. La finanza è come una foglia che deve essere verde e nutriente, per nutrirmi. Così che riesca a costruire un bozzolo e far nascere, a tempo debito, una farfalla od una falena. La cosa importante è che sia qualcosa che voli, che si libri e che mi dia l’idea di una libertà che nasce solo da quel senso di rispetto delle regole della fisica e di fatica operosa che il volo dona. Lo stomaco delle farfalle di cosa sarà pieno quando in amore?” K. J. Okker – “La modernità va compresa, poverina”

 

Un’ultima nota, segretario Renzi: nel caso non cambi qualcosa, i riferimenti ad articoli e blogs altrui, messi qui sopra come link, potrebbero non essere più possibili, nel caso il pacchetto di emendamenti attorno alla webtax diventasse esecutivo a giugno. Dopo la legge elettorale, ci diamo un’occhiata a queste piccole barriere alla circolazione del pensiero? Rock it

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