“Il bail-in? In Italia ha creato più problemi che benefici”

ROMA. “La nuova direttiva sui salvataggi bancari, il bail-in, in Italia sta portando più danni che benefici. E’ nata per mettere a riparo i contribuenti dal costo delle crisi delle banche, dopo che Inghilterra, Francia e Germania, avevano speso montagne di denaro pubblico per salvarle. Oggi vediamo che i contribuenti ci rimettono soldi, i risparmiatori hanno perso tutto e il sistema finanziario è indebolito. E questo” dice Carlotta de Franceschi, fondatrice del centro Action Institute, docente alla Columbia, un passato nelle grandi banche d’affari, ed ex consigliere economico di Matteo Renzi, “è un tema politico”.
Smontiamo il bail-in, mai applicato da quando esiste?
“O facciamo la bad bank, fissando a priori le condizioni per l’intervento pubblico”
Ce l’hanno già negata.
“Non so se avevamo la forza per negoziare, allora. La direttiva era una rivoluzione copernicana, dovevamo chiedere un periodo transitorio per l’applicazione, e la bad bank. Siamo stati tutti colti alla sprovvista, risparmiatori, contribuenti, i giornali. Bisogna tornare dalla Commissione Ue. L’obiettivo della direttiva non è indebolire il sistema o colpire i piccoli risparmiatori”.
I nostri sono pieni di azioni non quotate e bond subordinati. Altrove non succede.
“Le regole vanno adattate. In Inghilterra è inconcepibile che un’azionista sia al tempo stesso creditore della banca. Noi ce l’abbiamo nel Dna, metà del sistema è fatto di ex banche popolari e cooperative. I risparmiatori meno sofisticati, le fondazioni, chiedevano rendimenti un po’ inferiori a quelli di mercato, ma l’economia otteneva credito a condizioni migliori. Oggi i regolatori chiedono alle banche aumenti di capitale sul mercato. Li fai, migliori i tuoi coefficienti per pochi mesi, poi però hai spazzato via i tuoi clienti-azionisti, tradisci la fiducia e la banca salta. Che senso ha?”
E’ successo anche a Veneto Banca, di cui lei è stata per pochi mesi consigliere.
“Chiederle di quotarsi fu un errore decisivo. Non ho mai visto una storia di turnaround passare per la Borsa”.
La soluzione qual era?
“Un partner bancario che mi pareva potesse emergere, o un investitore specializzato con grande esperienza”.
Invece è arrivato Atlante, che non ne aveva.
“Era meglio aiutare il partner industriale e noi ad alleggerirci delle sofferenze”.
Adesso, come Intesa?
“La vicenda è al capolinea.”
Che altro non va nella vigilanza Ue?
“La direttiva non permette riservatezza e tempestività. Il rodaggio di istituzioni nuove sul sistema più delicato che c’è, quello finanziario, sta mettendo sotto stress un mondo dove da sempre le questioni si risolvono a porte chiuse e nei weekend. In tutto il mondo le banche si salvano grazie ai governi o a un partner”.
Al governo cosa chiede?
“Di ragionare sul futuro del sistema, e sugli strumenti per accompagnarlo. Ammortizzatori sociali per gli esuberi, meccanismi fiscali e giustizia più rapida, per smaltire le sofferenze. Risparmiatori e contributori hanno dato, adesso gli altri facciano la loro parte”.

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