Il Sole24Ore – «Ci sarà una fase di consolidamento nei prossimi 2-3 anni. E sarà un processo che riguarderà l’intero mercato del credito europeo». Nicolas Véron è uno degli osservatori più attenti delle vicende finanziarie europee. Economista del think thank Bruegel di Bruxelles e del Peterson Institute di Washington, Véron è considerato uno dei padri “nobili” dell’Unione bancaria europea. Per questo nel 2012 è stato stato inserito da Bloomberg Markets nella lista delle 50 figure più influenti. Giunto in Italia per una tavola rotonda organizzata dal think thank indipendente Action Institute, Véron fa il punto con il Sole 24Ore sulle prossime sfide del settore.
Il Ceo di Deutsche Bank, John Cryan, ha detto apertamente che in Europa servono più fusioni in ambito bancario. È un auspicio che rimarrà tale, oppure crede che nei prossimi anni ci sia spazio per aggregazioni nel Vecchio Continente?
Penso che nei prossimi 2 o 3 anni assisteremo a operazioni di consolidamento. Ma prima occorre che le banche siano appetibili agli occhi degli investitori. Le grandi banche si stanno muovendo nella giusta direzione, con rafforzamenti di capitale importanti e riorganizzazioni interne. Quelle più piccole invece devono fare ancora passi in avanti.
A chi si riferisce?
La Germania in questo senso è un caso interessante. Il suo particolare sistema bancario (composto da istituti bancari privati, banche di diritto pubblico come Landesbanken e gli istituti di credito cooperativi, ndr) è in trasformazione. Le banche cooperative hanno bisogno di rinnovarsi. Ma anche in Italia ci sono nodi da sciogliere.
Per ora tuttavia l’Italia è l’unico paese dove, a partire dall’avvio della Vigilanza unica, una fusione sta prendendo forma.
È vero. La fusione tra Bpm e Banco Popolare è un passo importante per il sistema. Ma il Paese ha perso tempo prezioso nei decenni scorsi e ora è indietro. Sia chiaro: negli ultimi anni sono state varate riforme importanti, come quelle sulle Popolari ad esempio. Tuttavia non basta. Occorre rivedere il modello di business, la governance, i non performing loans. Questo non significa che tutte le banche italiane siano uguali. Ce ne sono alcune che funzionano bene, altre meno. È il sistema nel suo complesso che si deve modernizzare. Chi si è mosso per tempo, come la Spagna, ora sta raccogliendo i frutti.
Alcuni osservatori guardano allo Srep di fine anno (Supervisory Review and Evaluation Process) come step fondamentale in vista del risiko: la tesi è che le banche vogliono verificare che la Bce, come promesso da Francoforte, non aumenti i requisiti di capitale. Dopo di che, potrebbero scattare le fusioni. Che cosa ne pensa?
Credo che l’M&A sia un tema di business, non di vigilanza. La Bce con gli Srep darà indicazione delle nuove richieste patrimoniali, ma non entrerà mai nel giudizio di eventuali fusioni. Anche perché le aggregazioni non sono una cosa buona in sé. Pensiamo all’acquisizione di Antonveneta, che fu strapagata da Mps. Insomma, dipende da come i deal sono fatti, se creano valore o meno. Se è cosi, allora sono benvenuti. E possono essere visti di buon occhio dai supervisori. Soprattutto se fatti oltre i confini nazionali, perché aiutano a integrare il sistema e a creare il tanto atteso level playing field.