Autore : Anna Bovo
Data: 23-03-2020
Tipo: Altro
Tematica: Salute
Il Royal Institute of International Affairs, centro studi britannico la cui ricerca è focalizzata su affari internazionali e geopolitica, conosciuto anche come Chatham House, dista meno di 2 chilometri dal numero 10 di Downing Street, la residenza del Primo Ministro del Regno Unito. Le due sedi tuttavia appaiono oggi molto più distanti. Da una parte, un think tank sostenitore dei benefici della diffusione dei dati in ambito sanitario, dall’altra, un governo che, nel bel mezzo di una grave pandemia, annuncia di sospendere gli aggiornamenti giornalieri riguardo la posizione geografica dei pazienti risultati positivi al nuovo Coronavirus.
Chatham House lanciò nell’ottobre 2014 un progetto intitolato “Strengthening Data Sharing for Public Health” che durò due anni allo scopo di sviluppare linee guida utili alla creazione delle condizioni necessarie per la condivisione di dati sanitari, dato il ruolo fondamentale che l’informazione gioca nella lotta alle epidemie. Come affermano Heymann e Rodier nel loro articolo “Global surveillance, national surveillance, and SARS”, l’efficace diffusione di dati durante l’epidemia prodotta nel 2003 dalla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) fu un elemento fondamentale che impedì alla malattia di diffondersi ulteriormente. Anche nel caso dell’influenza A del 2009 (H1N1), sostengono Brownstein, Freifeld e Madoff nel loro articolo “Influenza A (H1N1) Virus, 2009 — Online Monitoring”, la disponibilità di informazioni contribuì positivamente all’attuazione di una risposta forte e puntuale alla pandemia. Fine ultimo del progetto di Chatham House è stata quindi la stesura di linee guida che permettano ad esperti nel campo di data sharing, salute e politiche pubbliche di collaborare per essere preparati ad un eventuale futuro contagio. Nel caso del COVID-19, apparso per la prima volta in Cina e che continua a diffondersi velocemente in tutto il mondo, diversi paesi stanno adottando politiche di condivisione di dati diverse.
Il 7 marzo la Protezione Civile italiana comunica la possibilità di consultare su una piattaforma online una cartina geografica dell’Italia che mostra la localizzazione dei contagi e che permette di vedere nel dettaglio dati riguardanti le singole province. I dati indicanti il totale delle persone attualmente positive, il numero dei guariti, dei deceduti e il totale dei casi registrati, anch’essi disponibili sulla stessa piattaforma, sono aggiornati giornalmente alle 18. Solo tre giorni prima, il 4 marzo, il governo britannico annuncia la volontà di non comunicare più i dati geografici relativi ai contagi. Sebbene la decisione sia stata revocata il giorno seguente, a seguito di accuse di eccessiva segretezza e preoccupazioni riguardo la diffusione di fake news, essa è stata rappresentativa della volontà del Regno Unito di limitare l’informazione del pubblico circa la diffusione del virus. Di fronte alla stessa emergenza quindi, i due paesi sembrano adottare strategie diametralmente opposte, spinti dai benefici dell’una o intimoriti dagli svantaggi dell’altra.
Mettere a disposizione della cittadinanza una grande quantità di informazioni può generare situazioni di confusione e, in casi estremi, di panico: l’Italia, con le sue file di persone in attesa per l’apertura dei supermercati e ondate di fuga verso il Sud dalle regioni più colpite del Nord ne è un esempio perfetto. La ratio della scelta momentanea del Regno Unito di non informare il pubblico della posizione geografica dei nuovi contagi risiede verosimilmente nella volontà di evitare situazioni di panico tra la popolazione. Tuttavia, una cittadinanza non al corrente della situazione non è in grado di prendere decisioni informate e rischia di rendere più difficile il compito di limitare la diffusione del virus. Inoltre, la fiducia del pubblico nei confronti delle istituzioni nazionali è fondamentale in una situazione di emergenza sanitaria come questa, in cui la collaborazione dei cittadini è elemento essenziale a una risposta efficace, a maggior ragione se si considera l’importante sforzo richiesto alla popolazione dai governi di molti paesi che hanno messo in atto misure di “lockdown”.
Diversi modelli stanno emergendo anche per quanto riguarda l’approccio ai tamponi per il COVID-19 e alle diverse classificazioni dei decessi connessi all’infezione. Eseguire tamponi in modo deciso e sostenuto, come sta avvenendo in Corea del Sud, si sta rivelando un metodo efficace per contrastare il virus. In Italia e in altri paesi, come il Regno Unito e la Francia, i test vengono somministrati perlopiù a pazienti sintomatici. Approcci così differenti portano necessariamente a numeri e conclusioni differenti. Secondo uno studio del ricercatore Andreas Backhaus, in Corea del Sud i numeri indicano una vasta diffusione della malattia tra i più giovani, mentre in Italia la fascia di età più colpita risulta quella dei più anziani. Eseguire test in misura limitata rischia di far sottovalutare l’impatto che i portatori sani hanno sulla diffusione del virus.
Anche per quanto riguarda le modalità di classificazione dei decessi collegati al virus, ogni paese adotta condotte diverse. Non esistono infatti a livello europeo, e tantomeno a livello mondiale, linee guida che armonizzino il modo in cui un decesso è registrato. Per una malattia come il COVID-19, per cui in Italia si registra che circa i tre quarti delle persone decedute presentava due o più patologie pregresse, il modo in cui viene stabilito se un paziente sia perito “per” o “con” Coronavirus diventa fondamentale. Esso infatti determina il tasso di letalità della malattia, che viene usato spesso come termine di paragone tra paesi, anche per valutare l’efficacia delle politiche sanitarie, come possono essere il lockdown o il blocco dei confini, messe in atto dagli stati più colpiti. Se le prime morti in Germania sono state registrate quando il numero di contagiati era circa 1200, mentre in Italia il giorno del primo decesso registrato i contagiati erano meno di 100, l’ipotesi che i due paesi abbiano adottato criteri diversi per la classificazione dei decessi è verosimile. Tale divergenza costituisce un problema in termini di accuratezza e armonia dei dati che vengono messi a disposizione di esperti e politici ma anche del pubblico, e che necessita di intervento da parte dell’Unione Europea, se non dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In assenza di standard comuni la valutazione delle politiche messe in atto dai diversi paesi è compromessa e i messaggi che vengono mandati ai cittadini sono fuorvianti. È invece fondamentale che anche la popolazione abbia un’immagine chiara dell’emergenza sanitaria e delle misure adottate dai rispettivi governi, perché i cittadini dispongano delle informazioni necessarie per prendere decisioni volte a tutelare la propria salute.
Sebbene non ci sia paese che non abbia sofferto di errori nella divulgazione di messaggi relativi al nuovo Coronavirus, alcuni stati ne hanno commessi più di altri: tra questi, gli Stati Uniti. L’Amministrazione Trump ed il Presidente stesso sono stati incolpati di aver minimizzato per settimane i rischi derivanti dalla diffusione del virus, di aver ostruito gli allarmi lanciati da ricercatori ed esperti e di aver diffuso informazioni inesatte e talvolta false. Il presidente Trump ha infatti affermato come la diffusione del virus negli Stati Uniti fosse ampiamente sotto controllo, come l’epidemia sarebbe miracolosamente scomparsa di lì a poco, come le temperature più alte l’avrebbero eliminata e come chiunque avrebbe voluto sottoporsi ad un test sarebbe stato in grado di farlo. Questo tipo di comunicazione, fatta di contraddizioni, affermazioni false o in contrasto con i messaggi veicolati dagli esperti è tutt’altro che consigliabile in una situazione come quella attuale, in cui la minimizzazione di una questione tanto seria può avere conseguenze estremamente negative. La copertura mediatica della pandemia si è rivelata ugualmente dannosa. Alcuni media conservatori hanno insistito per settimane che i rischi derivanti dal virus erano stati amplificati dagli opponenti democratici nel tentativo di danneggiare la campagna elettorale dell’attuale Presidente. Ciò risulta ancora più preoccupante se si considera che la maggior parte degli spettatori di Fox News, uno dei principali media repubblicani, appartiene proprio alla categoria che oggi risulta più vulnerabile al virus: gli anziani. Il risultato di tale condotta da parte di esponenti politici e media americani è che il 37% dei votanti repubblicani intervistati tra il 10 e il 16 marzo in un sondaggio del Pew Research Center afferma che il COVID-19 è stato creato in laboratorio.
Il governo degli Stati Uniti tuttavia non è l’unico colpevole di aver promesso soluzioni rapide ad un problema tanto complesso come il nuovo Coronavirus. Fino a pochi giorni fa, Boris Johnson e i suoi collaboratori trasmettevano alla loro nazione il messaggio che misure igieniche, autoisolamento in caso di sintomi e immunità di gregge sarebbero state in grado di combattere l’infezione. Politiche basate su misinformazione, rifiuto di fatti scientifici e inganno allo scopo di assicurare consenso politico in situazioni delicate come quella attuale rischiano di avere conseguenze disastrose nel lungo termine. La prossima vittima del COVID-19 sembra essere ciò che in primo luogo ha permesso a Trump e Johnson di essere alla guida dei loro paesi: il populismo.
È evidente quindi che le scelte prese dai vertici dei paesi colpiti maggiormente dal COVID-19 in termini di livello di trasparenza di informazione, come anche di test effettuati e classificazione dei decessi, influenzino l’efficacia della risposta che essi stessi metteranno in atto, come anche la capacità della cittadinanza di valutare tale efficacia. Analizzando le scelte in termini di politiche sanitarie e di trasparenza, correttezza e costanza di informazione emerge uno scenario di divergenza di strategie che, nel caso di un’emergenza mondiale come la pandemia di COVID-19, rischia di non essere ottimale. Un approccio coordinato a livello globale e una maggiore attenzione alla comunicazione sembrano oggi indispensabili per permettere al mondo di debellare questa pandemia.