Autore : Davide Brocchi
Data: 13-09-2018
Tipo: Altro
Tematica: Credito
Il protezionismo pone importanti sfide all’economia italiana e globale, innescando un circolo potenzialmente esplosivo. Questo il tema trattato nell’evento organizzato dal Centro Studi del Pensiero Liberale a Milano.
La scintilla è scoccata in marzo, ma l’incendio, a sette mesi di distanza, sembra tutt’altro che destinato a spegnersi. Se di dichiarazione di guerra non si può parlare senza scadere nell’iperbole, la decisione del presidente americano Donald Trump di applicare dei dazi commerciali alle importazioni di alcuni beni ha generato un’ondata di ripercussioni a catena che rischiano di danneggiare i fragili equilibri commerciali e politici mondiali, forgiati da vent’anni di multilateralismo e cooperazione internazionale.
Inizialmente esclusi dalle tariffe doganali, gli stati membri dell’Unione Europea, tradizionale partner commerciale e strategico degli Stati Uniti, sono stati colpiti da un secondo round di sanzioni, che ha coinvolto anche Canada e Messico. La tassa del 25% sulle esportazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio non ha lasciato indifferenti i vertici di Bruxelles, che hanno risposto con la promessa di una controffensiva, seguita a fine giugno dall’introduzione di dazi su prodotti iconici dell’export a stelle e strisce. La reazione decisa di Bruxelles ha sortito i suoi effetti, visto che dopo circa un mese di scaramucce e minacce verbali il presidente Trump ha ricevuto alla Casa Bianca l’omologo della Commissione Europea Juncker. L’incontro tra i due leader ha scongiurato il proseguimento delle tensioni commerciali e inaugurato un periodo di collaborazione finalizzato a raggiungere l’obiettivo delle “zero tariffe, zero barriere commerciali, zero sussidi su beni industriali che non siano le auto”.
Ben più sottili i risvolti della vicenda che contrappone gli Stati Uniti e la Cina. L’equilibrio tra le due maggiori economie mondiali è stato perseguito imboccando la strada della convergenza economica e tecnologica ancor prima che quella politica. Come osservato da Pisani-Ferry, Russia e Cina non si sono allineate politicamente alle democrazie liberali, ma hanno beneficiato degli standard economici delle economie di mercato. Il presidente Trump ha giustificato l’imposizione dei dazi con un articolo del Trade Act, un documento del 1974 che lo autorizza a prendere provvedimenti in presenza di violazioni dei trattati commerciali che mettano in pericolo i beni americani, senza l’autorizzazione del WTO. Tuttavia, la posta in gioco sembra essere decisamente più consistente. Ciò che veramente sembra essere messo in pericolo non sono le esportazioni dei prodotti USA o la salute delle imprese americane a breve termine ma la stessa posizione egemonica degli Stati Uniti nell’economia globale, esercitata attraverso il primato negli scambi internazionali del dollaro e ora minacciata da più parti.
In questo groviglio di interessi globali l’Italia si trova in qualità di membro dell’Unione stretta tra i due fuochi cinese e americano. Per approfondire questi temi, il 12 settembre si è svolto a Milano l’incontro Trade Wars and Global Competition: il posizionamento dell’Italia tra Europa, Cina e Stati Uniti, organizzato dal Centro Studi del Pensiero Liberale, presieduto da Francesco Ferri.
Tra gli ospiti erano presenti Pier Carlo Padoan, già Ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni, Carlotta de Franceschi, presidente di Action Institute e Carlo Pelanda, presidente di Quadrivio Italia.
Il ruolo dell’Italia nella guerra commerciale è indissolubilmente legato a quello dei partner europei. L’economia italiana ha fatto registrare nel 2017 un surplus commerciale pari a 47,5 miliardi di euro, il terzo più alto dell’Unione dopo Germania e Olanda. Un’economia così fortemente incentrata sulle esportazioni è inevitabilmente più vulnerabile a politiche di tipo protezionistico che ne limitino il raggio d’azione. Per questo motivo la tregua annunciata da Juncker e Trump è un buon segnale per l’Europa tutta, ma per il nostro paese in particolare. I motivi di preoccupazione tuttavia permangono e non riguardano soltanto gli sviluppi sul fronte UE.
In questi giorni le borse asiatiche fanno registrare i minimi storici dal luglio dello scorso anno, scontando il nervosismo dovuto alla contesa commerciale tra Stati Uniti e Cina. Se la Cina è il bersaglio principale delle politiche protezioniste, come neanche troppo velatamente fatto intendere dal presidente Trump tramite alcuni tweet, il Giappone non è stato risparmiato dai dazi riguardanti acciaio e automobili, vale a dire due fette consistenti dell’export nipponico. Il paese asiatico è corso ai ripari affrettandosi a chiudere un accordo di libero scambio con l’Unione Europea che prevede l’abbattimento dei dazi reciproci su oltre il 90% dei prodotti scambiati tra i due blocchi. Allo stesso tempo però il Giappone ha intensificato le relazioni con la Cina, riavviando rapporti diplomatici tesi da tempo, sulla base di una volontà comune di compattarsi in un blocco asiatico forte e difendersi dalla minaccia di una crisi commerciale mondiale.
Questo riavvicinamento tra i due paesi orientali deve mettere in guardia l’Italia e l’Unione Europea dal pericolo dell’isolamento. Nel gioco di alleanze e vendette innescato dalle politiche commerciali americane bisognerà farsi trovare pronti e scegliere con cura i propri alleati.