SINGLE-PUBBLICAZIONE

L’alternativa ai coronabond e il prezzo della solidarietà

Autore : Paolo Agnolin

Data: 09-04-2020

Tipo: Altro

Tematica: Action Institute

“L’Europa deve dimostrare se è all’altezza di questa chiamata della storia”. Con queste parole il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte ha voluto scuotere i leader europei, auspicando una celere adozione di misure eccezionali e concrete. La materia del contendere ha un nome nuovo – “Coronabond”-, ma ruota intorno all’atavica e sempre attuale contrapposizione tra chi auspica una condivisione dei rischi finanziari a livello europeo e chi invece vede in qualsiasi forma di solidarietà finanziaria un possibile vaso di pandora. Di fronte a circostanze così fuori dall’ordinario come quelle attuali, però, trovare una soluzione alternativa e condivisa è possibile.

 

Dopo la rottura avvenuta nell’ultimo Consiglio Europeo e la lettera che nove Paesi europei, tra cui Italia e Francia, hanno presentato per chiedere l’emissione di coronabond, la tensione è ancora elevata. Nonostante il diniego di Germania, Olanda e Austria sia stato perentorio, la questione rimane all’ordine del giorno ed ha assunto notevole rilevanza politica.

 

I coronabond consisterebbero in un’emissione di debito congiunto tra i Paesi dell’Eurozona. Si tratta di uno strumento che, prima facie, presenta diversi vantaggi perché andrebbe a costituire un safe asset europeo. Questi titoli potrebbero essere acquistati non solo dalla BCE ma anche dal mercato. Se la BCE inoltre mantenesse bassi i tassi di interesse, di fatto si riuscirebbe a finanziare la spesa della maggior parte degli stati membri a condizioni significativamente più vantaggiose di quelle attuali.

 

Mentre gli Stati Uniti hanno già varato delle misure espansive che corrispondono a più del 9% del PIL, in Europa la politica fiscale inizialmente è stata timida. Germania e Francia, che per una diversa biografia fiscale possono permettersi di stanziare maggiori risorse rispetto all’Italia, hanno recentemente annunciato interventi più consistenti. Invece, le misure economiche adottate finora nel Bel Paese – inevitabilmente condizionato dai suoi fondamentali economici – si attestano solo all’1,1% del PIL, e una risposta più vigorosa è necessaria. Come ha sottolineato anche Mario Draghi nel suo recente intervento sul Financial Times, gli strumenti monetari non saranno sufficienti, e bisogna quindi implementare un’energica politica fiscale. Inoltre, dato che le economie dei vari Paesi presentano un elevato grado di interconnessione, è nell’interesse di tutti che gli stati con una situazione finanziaria più fragile riescano a rispondere alla prossima recessione.

 

Finora però, il veto dei Paesi nordici è stato deciso, e la divergenza di cui stiamo parlando è abbastanza ampia. Qual è dunque il prezzo della solidarietà, che alcuni Paesi non sembrano disposti a pagare? Non dobbiamo mai scordarci che, de facto, vi sono degli stati che stanno chiedendo ad altri di costituire dei fondi comuni per finanziare una spesa su cui poi non avranno voce in capitolo. Ogni Paese ha esigenze e dinamiche politiche diverse, e non possiamo aspettarci che i leader stranieri prendano decisioni non digeribili dai loro rispettivi elettorati.

 

Quando parliamo di solidarietà, implicitamente intendiamo la situazione nella quale un soggetto ne aiuta un altro e, al netto della retorica, ciò significa chiedere ai paesi con una situazione finanziaria più solida di aiutare unidirezionalmente i paesi con un quadro fiscale meno rassicurante. I coronabond sarebbero garantiti in solido da tutti gli stati europei, e quindi se un paese risultasse inadempiente, tutti gli altri potrebbero essere chiamati a rispondere per l’insolvente. Alla luce delle attuali circostanze, ciò significa chiedere alla Germania di garantire per l’Italia, e non viceversa. Inoltre, si tratta di un tema molto tecnico, e la modifica dei trattati richiederebbe tempo e impegno. Tuttavia, anche assumendo che ciò non fosse, sta di fatto che se domani i governi di Germania, Olanda o Finlandia annunciassero un’apertura indiscriminata ad uno strumento di emissione congiunta del debito, una buona parte degli elettorati di questi Paesi la vedrebbe come un regalo agli stati che nel loro immaginario collettivo sono sostanzialmente inaffidabili.

 

Potremmo discutere se l’immagine di Paese irresponsabile che è stata attribuita all’Italia sia meritata o meno. Si potrebbe sottolineare che la propaganda politica in Germania e altri paesi ha contribuito negli anni a produrre una visione stereotipata e spesso non fedele dei paesi mediterranei. Si potrebbe dire che l’Italia, percepita come un Paese disattento alla gestione dei propri conti pubblici, in realtà da circa trent’anni (ad eccezione del 2009) ha sempre presentato un saldo primario positivo e dal 2011 il deficit è inferiore al 3% del PIL. Si potrebbe dire, anche, che complice l’esigua crescita, una classe politica troppe volte irresponsabile, e una classe burocratica con poca cultura economica, non tutta la cattiva fiducia è immeritata. Sta di fatto, però, che non è di questo che dobbiamo discutere oggi.

 

Dobbiamo comprendere che non possiamo aspettarci che i leader dei paesi “rigoristi” prendano decisioni non digeribili dai loro elettorati, e dobbiamo quindi metterli nelle condizioni politiche di poter accettare la proposta che avanzeremo. Qualcuno direbbe che bisogna consentire di “salvare la faccia” alla controparte. Nell’ambito di un negoziato, trovare una soluzione è possibile se ci presentiamo con un piano migliore rispetto ai coronabond, che oltre a presentare le limitazioni politiche accennate, avrebbero anche numerose criticità tecniche che presagiscono un percorso accidentato.

 

Così come il governo italiano non può accettare che l’emissione del debito sia subordinata a criteri di condizionalità analoghi a quelli del MES, il governo tedesco ha bisogno di maggiori garanzie. Per superare la diffidenza teutonica si potrebbe pensare a uno strumento di raccolta finanziaria che, attirando risorse comuni, dovrà finanziare politiche concordate in comune. Inoltre, questa soluzione alternativa dovrebbe essere ad hoc e una tantum, dal momento che nasce sulla base uno shock simmetrico non imputabile allo stato in difficoltà, e giustificata dalla situazione eccezionale.

 

Una proposta molto interessante, che potrebbe risultare efficace, è quella presentata di recente da Carlo Cottarelli, Giampiero Galli ed Enrico Letta. La soluzione consisterebbe nella creazione di un piccolo organismo all’interno di una istituzione preesistente (come la Banca Europea degli Investimenti) per gestire le politiche concordate congiuntamente per rispondere alla crisi. Questo nuovo organismo, denominato “Special Health Emergency (SHE) arrangement” dagli autori della proposta, “dovrebbe emettere una tantum uno strumento di raccolta finanziaria per raccogliere 300-400 miliardi di euro con una scadenza di 30-50 anni“. Questa emissione potrebbe essere acquistata dalla BCE contestualmente al quantitative easing, e le risorse potrebbero essere trasferite direttamente dal MES, preferibilmente come iniezione di capitale di rischio, per rafforzarne la potenza di fuoco. “Le risorse raccolte in questo modo dovrebbero essere spese sulla base di politiche e progetti decisi in comune da tutti i paesi partecipanti“.

 

In questo modo, si potrebbe generare un finanziamento congiunto, anche consistente, garantendo alle controparti che i soldi saranno spesi esclusivamente per questa crisi. Presentando un progetto alternativo sia ai coronabond che ad un intervento del MES, con delle condizioni tali da rendere più ben disposto l’elettorato nordico, la solidarietà potrebbe finalmente tradursi in misure concrete. Del resto, se non in una crisi sanitaria, economica e sociale di tale portata, quand’è che dovrebbe attivarsi la solidarietà europea?

 

È comprensibile che, dovendo far fronte ad una situazione così tragica, i leader dei paesi più colpiti chiedano una maggiore solidarietà battendo i pugni sul tavolo, ed è giusto che sia così. Tuttavia, se vogliamo che le negoziazioni intergovernative vadano a buon fine, sarà importante armarsi di sano realismo presentando una soluzione che, senza snaturare le nostre istanze, sia digeribile dalla controparte. Nessuno ama l’idea che, in un periodo di difficoltà, sia necessario impegnarsi nell’arte del compromesso, ma come ha detto Paulo Coelho, chi desidera l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia.

 

Questo significa che è possibile trovare una soluzione che permetta all’Italia e ai Paesi in maggiore difficoltà di sostenere una maggiore spesa per fronteggiare in maniera decisa l’attuale crisi. Per raggiungere tale obiettivo, sarà cruciale riuscire a convincere gli altri Paesi del buonsenso delle misure proposte. Una risposta efficace è oggi più che mai necessaria, perché se cambiare è difficile, non cambiare è fatale.

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