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Shecession: L’impatto della Crisi COVID-19 sull’uguaglianza di genere: un passo indietro?

Autore : Ann-Christin Holl

Data: 09-02-2021

Tipo: Altro

Tematica: Capitale Umano

 

 

“Il COVID-19 potrebbe invertire i limitati progressi raggiunti in materia di uguaglianza di genere e diritti delle donne”. È questo il commento di Antonio Guterres alla pubblicazione del policy brief sull’impatto del COVID-19 sulle donne delle Nazioni Unite ad aprile.

 

Ad un anno dai primi casi COVID in Europa, infatti, appare sempre più evidente come siano le donne ad essere le più colpite da pandemia e risultante crisi economica. Addirittura, sembra quasi che i progressi fatti verso la parità di genere degli ultimi anni siano stati annullati. Quest’ impressione è talmente forte e condivisa che stampa, istituti di ricerca e mondo accademico hanno trovato un nome per descrivere questo fenomeno. La parola è Shecession – dal pronome femminile inglese she ed il termine che indica la recessione   ovvero una recessione con ripercussioni soprattutto sul femminile.

 

Un’analisi del Think Tank Vox.eu paragona i livelli di disoccupazione femminile e maschile in tutte le recessioni americane a partire dal 1949. In tutti i casi del passato, la disoccupazione fra le donne era sempre cresciuta meno, o al massimo allo stesso modo, di quella fra gli uomini. La recessione cui assistiamo adesso invece è la prima nella quale sta accadendo il contrario.

 

Quali sono dunque le ragioni che spiegano questa inversione di tendenza? L’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) individua tre fattori. In primo luogo, le donne sono esposte a maggior rischio perché i lockdown hanno colpito più severamente il settore terziario, un settore caratterizzato da un’alta partecipazione femminile. Ciò ha esposto le donne a rischi più alti di essere licenziate o vedere la propria paga decurtata. I dati raccolti in un report del World Economic Forum (WEF) infatti mostrano come a cavallo della pandemia la disoccupazione femminile negli Stati Uniti ed in Germania sia cresciuta in media di circa 1.5 punti percentuali in più rispetto a quella maschile. Nello specifico, a soffrire maggiormente sono state le donne, i giovani e persone con reddito inferiore alla media.

 

In secondo luogo, le donne sono maggiormente esposte al virus in quanto coprono gran parte dei lavori nel settore sanitario e dei lavori cosiddetti essenziali. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) il 70% dei lavoratori nel settore sociale e della salute è di sesso femminile. Lo conferma anche l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) che per l’Europa stima la percentuale di donne nel settore sanitario di 76%.

 

Infine, a causa del lockdown le donne svolgono più incarichi non retribuiti: come l’educazione dei bambini in didattica a distanza (DAD) o la cura di parenti anziani/malati. Questo facilmente porta a un sovraccarico non sostenibile, che, come osservato dal UNDP, molto probabilmente non finirà al termine della pandemia.

 

Guardando all’Italia le conclusioni sono simili. Secondo l’ISTAT, la quota di occupati nei settori sospesi tra le donne (26,1%) è inferiore rispetto a quella stimata per gli uomini (35,3%). Questo potrebbe essere dovuto al fatto che le donne siano meno presenti nei settori industriali e delle costruzioni, molto colpiti dal blocco. Tuttavia, i dati confermano che l’occupazione femminile è calata del 2,2% tra il secondo trimestre del 2020 e il 2019, rispetto a un calo del 1,3% nell’occupazione maschile. Questi numeri sono dovuti soprattutto all’alta percentuale delle donne nel settore dei servizi dove il 55,9% del totale posti persi apparteneva a donne. Dati allarmanti che potrebbero aggravarsi al termine delle misure di blocco dei licenziamenti. Il rapporto dell’associazione Svimez stima persino che l’emergenza sanitaria abbia cancellato in un solo trimestre quasi l’80% dell’occupazione femminile creata successivamente alla crisi finanziaria del 2008.

 

Accanto all’impatto sulla disoccupazione, anche in Italia le donne sono soggette di più al rischio del virus in quanto maggiormente occupate nel settore sanitario. L’Istat conferma che nel 2019 il 64,4% del personale impiegato nell’assistenza sanitaria e l’83,3% di quello impiegato nell’assistenza sociale non residenziale – due attività considerate a rischio elevato – fosse composto da donne. A ciò si aggiunga che due terzi del personale del Servizio Sanitario Nazionale – che difficilmente può svolgere il proprio lavoro a distanza e si espone quotidianamente al rischio del virus – sono donne.

 

Infine, le donne che possono svolgere il loro lavoro in smart working, come per esempio le insegnanti, spesso in aggiunta al loro lavoro devono occuparsi della cura dei propri figli e della didattica a distanza. Ovviamente questo non può che comportare un forte sovraccarico di lavoro come afferma la direttrice dell’Istat Sabbadini.

 

Questi fattori chiaramente impattano fortemente la vita delle donne e il loro ruolo nell’economia. Il rischio è che non ci siano solo gli effetti immediati di licenziamento o maggiorati livelli di cura, ma che ci vorranno anni per ricostruire i posti di lavoro delle donne andati persi.

 

È questa anche la preoccupazione di Guterres, che afferma: “Il progresso perduto avrà bisogno di anni per essere recuperato. […] Incoraggio i governi a mettere le donne […] al centro dei loro sforzi nella ripresa dal COVID-19.”

 

L’Italia sta facendo un primo passo in questa ripresa. Nella legge di bilancio 2021, infatti, è previsto un bonus assunzioni per giovani e donne. Questo bonus comporterebbe l’esonero contributivo del 100% fino a massimo 6mila euro all’anno, per le assunzioni del biennio 2021-2022. L’agevolazione è però soggetta a una serie di condizioni. Saranno in particolare idonee solo le assunzioni di donne prive di lavoro regolarmente contribuito da minimo sei mesi. Questo rischia di escludere le donne che hanno perso il loro lavoro recentemente a causa della pandemia. Anche parte dei fondi del Recovery Fund sono destinati alle donne, ma ci vorrà molto di più per arrivare a una vera parità di genere.

 

 

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