Autore : Francesco Galletti
Data: 04-12-2017
Tipo: Altro
Tematica: Capitale Umano
L’innovazione tecnologica e l’associata progressiva automazione dei processi produttivi stanno rivoluzionando il mondo del lavoro in tutto il mondo. Secondo il paper di Frey e Osborne (2013) “The Future of Employment: How Susceptible are Jobs to Computerization” il 47% dei posti di lavoro USA sono a rischio di automazione. In particolare, saranno i lavoratori meno qualificati a dover sostenere i costi maggiori del processo. Ma non solo. L’innovazione tecnologica è stata accompagnata anche da una polarizzazione della domanda di lavoro agli estremi della distribuzione delle competenze, impattando negativamente anche i livelli di occupazione dei lavoratori medium skilled. In tale contesto, risulta cruciale aggiustare le competenze della forza lavoro ai nuovi trend e richieste del mercato, in particolar modo in Italia, dove lo skills mismatch rappresenta una dei principali freni alla crescita.
In Italia, esistono contemporaneamente un problema di sotto-qualifica e un problema di sovra-qualifica della forza lavoro. I dati OECD collocano i lavoratori italiani all’ultimo posto in Europa in literacy e al penultimo in numeracy. È interessante notare tuttavia che l’Italia è n linea con la media OECD quando sono considerati i livelli di educazione primaria e secondaria superiore soltanto.
Allo stesso tempo, a un miglioramento del livello generale di istruzione del Paese non è seguito un corrispondente innalzamento della struttura occupazionale. L’alta percentuale di sovra-qualificati (circa il 20% della forza lavoro) è legata a caratteristiche strutturali del sistema produttivo italiano, caratterizzato da micro-imprese con produzioni a basso valore aggiunto. La particolarmente alta percentuale di sovra-qualificati tra i laureati STEM, dotati di skills particolarmente ricercate in economie ad alto valore aggiunto, indica precisamente un ritardo strutturale del sistema produttivo del Paese.
Lo skills mismatch in Italia è aggravato dall’inefficacia delle misure messe in atto per favorire la transizione nel mercato del lavoro, che fa dell’Italia il peggior paese in Europa per skills activation (dati Cedefop).
Per affrontare questi problemi, occorre lavorare su entrambi i lati del mercato del lavoro. Da un lato, è necessario innalzare la qualità della domanda di lavoro delle imprese, promuovendo investimenti che innalzino il livello tecnologico delle produzioni. Dall’altro, bisogna adeguare la formazione della forza lavoro in base alle competenze richieste dal mercato. A questo scopo, nell’Opinion “Skills Mismatch in Italia. Analisi e scelte di policy in uno scenario in rapida evoluzione”, si pone l’attenzione sull’importanza di accrescere l’attrattività e la comprensione di programmi di vocational training (VET), puntando sui programmi di formazione professionale più efficaci, e su politiche attive del lavoro, ampliando e migliorando i programmi che incentivino i lavoratori ad assumersi maggiori oneri nel re-training.
Lo skills mismatch impatta sulla soddisfazione e sul reddito dei lavoratori, genera maggiore turnover per le imprese e ha effetti negativi su occupazione e PIL. È quanto mai necessario porvi rimedio, adeguando il sistema produttivo italiano alle competenze del Paese e formando una forza lavoro adatta alle peculiarità della sua economia.