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Strategia Europa 2020: da dove siamo partiti, dove siamo, dove possiamo arrivare?

Autore : Andrea Abriani

Data: 26-09-2018

Tipo: Altro

Tematica: Capitale Umano


Nel 2018 l’Unione Europea celebra 61 anni di collaborazione sul piano economico, politico e sociale fra i suoi membri. Il successo di un’alleanza tanto duratura è in gran parte dovuto al fatto che ogni fase del suo sviluppo è stata affrontata con un’ottica lungimirante, più attenta al beneficio di lungo termine che non ai risultati immediati. Già nel 1957, tra i membri fondatori dell’Unione Europea vi era infatti la volontà di avviare un percorso di sforzo comune, dedicato al perseguimento di obiettivi complessi ed ambiziosi, che gli Stati non avrebbero potuto raggiungere individualmente. A rendere il progetto europeo sui generis è stata l’idea di attribuire alla struttura sovranazionale il potere esecutivo di perseguire le strategie di lungo termine.


Proprio con questo spirito è nata la Strategia Europa 2020. Emanato dalla Commissione Europea nel 2010, in piena crisi economica, il documento sottoscritto dall’allora presidente Barroso delineava una strategia per la crescita “intelligente, sostenibile ed inclusiva”. Con milioni di nuovi disoccupati, il macigno del debito e tensioni sociali a minare la stabilità del Vecchio Continente, il piano proponeva di voltare pagina, fissando gli obiettivi da raggiungere nel corso del decennio, nell’ambito di occupazione, ricerca e sviluppo, energia, educazione e distribuzione della ricchezza. Quali progressi sono dunque stati fatti nel corso di questi otto anni? È verosimile raggiungere gli obiettivi prefissati entro il 2020?

Per rispondere a questa domanda è necessario confrontare i dati attuali e le relative proiezioni con le aspettative del 2010. In particolare, gli obiettivi sono: l’occupazione del 75% della forza lavoro, l’investimento del 3% del PIL in ricerca e sviluppo, un tasso di abbandono scolastico inferiore al 10% e un tasso di conseguimento di educazione terziaria superiore al 40%.

Nel 2009, il PIL dell’Unione Europea era in calo del 4%, la produzione industriale tornata ai livelli del 1990 e il livello di disoccupazione era salito oltre il 10%. La Commissione allora ipotizzava tre scenari di uscita dalla depressione: il più ottimista consisteva in una ripresa “sostenibile”, che entro il decennio avrebbe riportato l’Europa ad una crescita addirittura più sostenuta del periodo pre-crisi (1); il secondo prevedeva una ripresa “lenta”, secondo la quale nonostante il ritorno ad una crescita moderata, il ritardo causato dalla crisi non si sarebbe recuperato entro tempi misurabili (2); infine lo scenario meno desiderabile, il “decennio perduto”, considerava lo shock subito dal tracollo finanziario troppo elevato perché il continente si riprendesse in tempi brevi (3).

 

europe 2020

Tra il 2011 e il 2012, la crisi del debito sovrano e il conseguente aumento dello spread nelle economie dell’Europa meridionale, le cosiddette PIGS – Portogallo, Italia, Grecia, Spagna – ha ostacolato ulteriormente la ripresa, fornendo uno scenario (4) migliore rispetto al “decennio perduto” tanto temuto da Barroso, ma comunque insoddisfacente. In termini di occupazione, dopo il crollo del biennio 2008-2010, la crisi si protrasse con tre anni di stagnazione durante i quali la percentuale di adulti in forza lavoro non andò oltre il 68%. A partire dal 2013, l’UE riprese a guadagnare approssimativamente l’1% annuo, fino ad arrivare al 72% attuale. Il traguardo del 75% entro il 2020 sembra dunque essere alla portata. In verità, nove nazioni, tra cui la Germania, hanno già raggiunto il proprio obiettivo nazionale, mentre altre nove sono sulla buona strada, dovendo recuperare al massimo un 2% nei prossimi tre anni. La situazione è invece più critica per le restanti nove, tra le quali vi sono membri di peso quali Francia e Italia, entrambe lontane 4 punti percentuali dall’obiettivo.

Il secondo obiettivo di Europa 2020 è la destinazione del 3% del PIL agli investimenti in ricerca e sviluppo. Ad oggi, quasi nessuno Stato membro ha raggiunto l’obiettivo e il dato europeo è fermo al 2%. La maggioranza è lontanissima dalla soglia nazionale prefissata e anche gli stati più virtuosi procedono a rilento. Il problema principale risiede nell’approccio dei governi, che faticano a cogliere l’importanza della ricerca per la crescita economica, in particolare durante i periodi di crisi. I dati, infatti, dimostrano come durante le fasi di rallentamento della crescita, vi sia la tendenza a tagliare gli investimenti in innovazione, che è invece vitale per superare queste fasi di depressione.

Totalmente diversa è invece la situazione riguardante l’istruzione, relativamente alla quale i progressi negli ultimi otto anni sono stati notevoli. Il tasso di abbandono scolastico, che nel 2008 sfiorava il 15%, è sceso al 10,6% e si prevede un ulteriore miglioramento nell’arco dei prossimi due anni. Il secondo obiettivo relativo all’educazione è stato addirittura raggiunto con 3 anni di anticipo: già nel 2017 il 40% degli adulti compresi tra i 30 e i 34 anni avevano ottenuto un certificato di istruzione superiore.

Complessivamente, i dati attuali delineano una situazione ambigua. Gli indici UE 27 sono presentano tutti un trend positivo verso il raggiungimento del target 2020. Tuttavia, rimane preoccupante il divario interno fra singoli stati membri. Ancora una volta, infatti, è possibile distinguere tra gli Stati che agiscono da “locomotiva” e quelli invece che dimostrano tuttora forti debolezze strutturali. Per migliorare ulteriormente, è dunque fondamentale per l’Unione Europea concentrarsi sul trasferimento delle best practices degli stati virtuosi a quelli più in difficoltà, assicurando un processo di crescita più omogeneo che gioverebbe alla stabilità politica ed economica dell’Unione.

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