Le piazze italiane, sede negli ultimi mesi di manifestazioni di disagio ed insofferenza, si sono tinte sempre più di bianco poiché una categoria di insospettabili, o meglio, di non usuali frequentatori di piazza Montecitorio et similia, difatti, sono stati i giovani medici, gli studenti di medicina ed i giovani professionisti della sanità italiana.
Nell’ultimo anno, sono state ben 3 le manifestazioni nazionali lanciate dai giovani camici bianchi per denunciare, con il linguaggio della preoccupazione comune a tutti i giovani italiani gravati dalle incertezze per il futuro, gli effetti deleteri degli sprechi, delle politiche gerontocratiche e della mancanza di programmazione delle risorse umane in sanità. La scelta qualitativa dei modelli e quantitativa del numero di professionisti impiegati nel settore sanitario risponde a regole e rapporti ben precisi che, se non rispettati, mettono a dura prova la tenuta dell’interno sistema.
Osservando i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità relativi al rapporto tra medici e popolazione assistita, si evidenzia come l’Italia sia uno dei Paesi con il rapporto più alto nell’UE (3,9:10.000, con una media europea che si attesta a 3,2:10.000, per l’anno 2010). Pur tenendo conto del dato che stima il pensionamento di circa il 38% dei medici in attività nel prossimo triennio, alla luce di questi dati risulta difficilmente sostenibile l’incalzante richiesta di mettere in discussione l’accesso programmato ai corsi di laurea in medicina e chirurgia ed alla formazione post laurea. Si tratta di una richiesta di tipo “reattivo”, chiamando in causa al contempo la difesa del diritto allo studio piuttosto che la contingente contrazione dell’offerta e delle possibilità di accesso alla formazione post-laurea (il diploma di specializzazione ed il diploma di formazione specifica di medicina generale rappresentano il requisito essenziale per poter lavorare nel/con il Servizio Sanitario Nazionale e nei sistemi pubblici europei).
Entrambe le criticità richiamate rappresentano il risultato di una cattiva programmazione e di riforme adottate in passato senza una visione di sistema e senza lungimiranza sugli effetti: la previsione per il prossimo anno accademico per un giovane medico neolaureato di concorrere per circa 3.800 contratti di specializzazione e circa 900 borse di studio per la formazione specifica di medicina generale su base nazionale, a fronte di almeno 8.500 concorrenti (dato variabile in funzione dei tempi di pubblicazione del bando di concorso, che potrebbero ammettere anche gli abilitandi della sessione di luglio 2014). E tale dato rispetto a qualche mese addietro ha registrato anche un sensibile miglioramento, se si considera il recente stanziamento di finanziamenti aggiuntivi nazionali in sede di Legge di Stabilità e dell’iniziativa di alcune Regioni di esplorare la via dell’accesso ai fondi europei per sostenere la formazione post laurea di area sanitaria, tutti risultati ottenuti per merito della campagna #GiovaniMediciDay (svoltasi in più giornate di sensibilizzazione lanciate dall’Associazione Italiana Giovani Medici – SIGM con lo slogan “Cambiare il Paese, per non dover cambiare Paese”, a cui hanno aderito migliaia di giovani medici e studenti, in testa il Comitato Pro Concorso Nazionale).
Il differenziale tra laureati e posti in scuole di specializzazione e nei corsi regionali di medicina generale si incrementato ed destinato ad aumentare sensibilmente nel tempo, in ragione dell’incremento degli accessi a medicina (dai circa 7.400 del 2007 ai più di 10.000 studenti l’anno negli ultimi 3 anni), i cui primi effetti si potranno apprezzare a partire dal corrente anno 2014. In aggiunta, la prospettiva dei giovani medici fortemente condizionata dal confronto con le realtà internazionali, oggi estremamente facilitato dalle esperienze formative temporanee oltre confine e dalla capillarità di informazioni e conoscenza garantita dal web 2.0: il trend in ascesa, rappresentato dal numero di giovani medici italiani formati a carico dello Stato, che decidono di emigrare in altri Paesi per trovare maggiore respiro in realtà assistenziali che offrono ben più allettanti prospettive di crescita professionale, umana e sociale, dovrebbe rappresentare motivo di ulteriore riflessione sul futuro della sanità italiana.
Anche se tardivamente, come accade quasi sistematicamente in Italia, lo stato di emergenza stato proclamato e soltanto adesso, parallelamente alla ricerca di soluzioni immediate, sta prendendo piede la discussione sulla mancata programmazione delle risorse umane in sanità ad oggi sostanzialmente vicariata dal ricorso al dato storico che si limita a fotografare l’esistente senza alcuna visione prospettica. Le responsabilità sono molteplici e chiamano in causa tutti gli attori del sistema, dalle Regioni ai Ministeri competenti in materia, a quanti avrebbero dovuto garantire e tutelare il ricambio generazionale in seno alla Professione medica. Su input dei giovani medici sembra che si stia prendendo coscienza del fatto che, per sostenere il decisore, sia a livello centrale sia regionale, sia indispensabile dotarsi di adeguati strumenti e metodologie di programmazione: il dato epidemiologico dovrebbe essere il punto di partenza per disegnare l’organizzazione di ciascun Servizio Sanitario Regionale e, quindi, per definire il fabbisogno di risorse umane. Il presupposto essenziale consiste dal mettere a sistema tutti i flussi informativi esistenti, che a vario livello esplorano dimensioni diverse del contingente di professionalità sanitarie in attività ma che, ad oggi, faticano ad interconnettersi perdendo quindi la visione di insieme.
L’Italia non l’unico Paese costretto a doversi confrontare con queste problematiche: la Spagna, il Regno Unito (1-2) e gli stessi Stati Uniti (1 – 2), si trovano, per motivi differenti, a trovare soluzioni a problematiche legate alla programmazione delle risorse umane in sanità. La differenza e, quindi, la conseguente preoccupazione nel caso italiano da ricercare nella mancanza di un approccio di sistema nell’effettuare un’adeguata programmazione del fabbisogno di professionalità, che non può fermarsi agli aspetti quantitativi, ma che dovrebbe tenere parimenti in considerazione quelli qualitativi. Il progressivo invecchiamento della popolazione unitamente ai mutati scenari epidemiologici impone, difatti, il superamento del modello ospedalo-centrico a favore di un sistema integrato territorio-ospedale rispetto al quale molte Regioni tardano ad adeguarsi. Ne consegue l’esigenza di razionalizzare l’attuale offerta formativa ultra-specialistica per investire nella formazione di profili generalisti ma su basi e prospettive del tutto nuove.
A ci andrebbe aggiunta una profonda riflessione finalizzata alla rivisitazione dell’impostazione della formazione medica pre e post laurea, eccessivamente permeata dall’attenzione per gli aspetti teorici spesso a scapito della componente professionalizzante. E si dovrebbe al contempo tenere in debito conto anche il tema del task shifting e della compartecipazione di competenze con altri professionisti della salute. Il capitale umano della Sanità rappresenta uno dei pilastri fondanti per garantire la sostenibilità di un Servizio Sanitario Nazionale pubblico, equo, solidale, che sappia esprimere in maniera produttiva le competenze che lo caratterizzano, in un’ottica di crescente competitività interna ed esterna ai confini nazionali. I giovani medici italiani hanno, da tempo, acquisito familiarità con queste tematiche, nonché consapevolezza sulle relative implicazioni: alla politica ed alle Istituzioni il compito di riformare il sistema e di superare resistenze culturali ed assetti non più attuali.
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