Di recente la Banca d’Italia ha fotografato il quadro d’insieme del mondo del credito. Dopo una caduta del prodotto di quasi il nove per cento in pochi anni, non è sorprendente che non appaia rassicurante. Le sofferenze bancarie sono arrivate a 137 miliardi di euro, ma non sono l’unico problema. Un’occhiata più da vicino mostra che anche gli incagli, i crediti che iniziano a entrare in situazione critica, hanno superato gli 80 miliardi di euro. Ci sono poi altre partite deteriorate che ne valgono circa altri 15.
L’aritmetica della crisi può ovviamente continuare. È piuttosto probabile per esempio, se si guarda al passato, che almeno due terzi degli incagli attualmente presenti nei bilanci delle banche si trasformino in sofferenze prima o poi. Diventeranno dunque posizioni sulle quali una certa perdita è inevitabile. Resta dunque da capire qual è il tasso di recupero delle banche su (almeno) 180 miliardi di crediti che non saranno mai rimborsati in modo regolare. Qualora un istituto in media riuscisse a recuperare l’80% del valore del prestito escutendo le garanzie, ossia spesso pignorando degli immobili e rivendendoli, il buco nei bilanci delle banche italiane in prospettiva si avvicinerebbe ai 40 miliardi di euro.
Questa è senz’altro una stima arbitraria, che non tiene conto
di alcuni fattori determinanti. In positivo, andrebbero valutati gli accantonamenti da parte degli istituti a fronte dei rischi di credito: nei casi di Unicredit e Intesa Sanpaolo, anche su spinta della Banca d’Italia, questi cuscinetti sono senz’altro piuttosto robusti. C’è però anche un fattore potenzialmente negativo: in un mercato immobiliare debole, con procedure giudiziarie lente, i tassi di recupero sulle sofferenze sono probabilmente molto al di sotto dell’80%. Prendere possesso e vendere un immobile a un prezzo elevato può infatti rivelarsi un esercizio lungo e difficile per qualunque banca. Se molte proprietà finissero sul mercato allo stesso tempo, i prezzi non potrebbero che scendere.
L’esigenza di capitale delle banche italiane può insomma rivelarsi, a termine, di svariate decine di miliardi sotto qualunque scenario. Si può dunque discutere questi numeri, ma è difficile e
vitare la conclusione di fondo: se si vogliono riattivare i finanziamenti alle imprese, senza i quali non ci sarà vera ripresa, il paese deve imparare a farlo (anche) senza banche. Il credito bancario sta scendendo in Germania, in Olanda, in Francia. In queste condizioni, è semplicemente normale che continui a farlo anche in Italia. La forza del sistema si giudicherà da ora in poi da come saprà trovare strade alternative, non da come forzerà gli istituti a prestare di più nel breve termine.
Qui le proposte non mancano. Da anni ormai Alberto Avanzo, un banchiere privato, incoraggia l’attivazione dei fondi di credito. E l’Action Institute propone l’uso di garanzie anche con l’uso dei fondi europei per ridurre i costi del credito alle imprese e alle famiglie. Non è vero che non esistono vie diverse da quelle delle banche in Italia. Se il sistema resta vitale, è il momento di dimostrarlo.