L’eredità dell’ex presidente della Repubblica, padre del progetto europeo. In «Un metodo per governare» le riflessioni sulla ruolo della politica in democrazia. L’euro e l’assenza di un governo centrale dell’economia, la spinta della «ripresa morale»
“Sessant’anni fa, sei nazioni firmarono il Trattato di Roma, accettando di abbandonare parte della loro sovranità in nome di un ideale trascendente: la pace. Per impedire ai governi di riprendere il cammino distruttivo del militarismo, esse affidarono ad un’autorità superiore il controllo sulle loro produzioni di carbone e di acciaio, con l’idea che il tempo avrebbe rafforzato sia i legami interni fra le nazioni, sia reso il costo di una guerra troppo caro. Garantire la pace e rendere la guerra contraria agli interessi nazionali: questo è il principio sul quale la contemporanea Unione Europea è fondata.
Oggi, l’ondata populista sta avanzando nel cuore del Vecchio continente, minando il progetto europeo. Il referendum della Brexit ha aperto la possibilità ad uno scenario prima inimmaginabile: la disgregazione dell’Unione. Nel 2017 si vota in tre paesi fondatori, Olanda, Francia e Germania, che insieme costituiscono più del 50% del Pil dell’Ue ex Regno Unito. Mentre Bruxelles ha potuto tirare un respiro di sollievo con la vittoria del partito liberal democratico in Olanda e guarda con ottimismo alla Germania, rimane con il fiato sospeso nel testa a testa fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron. E così l’Economist dedica una copertina alle presidenziali francesi: «The next French Revolution – An Election that will dedide the future of Europe».
Dove sono finiti l’ideale e l’identità di un’Europa comune? Perché le classi dirigenti politiche stanno progressivamente perdendo l’appoggio degli elettori? Quali meccanismi istituzionali hanno promosso un tale risentimento? Nell’anniversario del Trattato di Roma, questo articolo non pretende di avere le risposte a queste domande, ma vuole tramite l’esempio di un fautore chiave del progetto europeo, Carlo Azeglio Ciampi, ripercorrere cinque lezioni sul ruolo della politica in una democrazia.
In «Un Metodo per Governare» (1996), Ciampi scriveva: «Nessuno della generazione che ha fatto la guerra può essere tranquillo di fronte a una prospettiva di rinascita dei vecchi conflitti regionali, che solo la creazione di un’Europa integrata secondo ben definiti assetti istituzionali può scongiurare».
La prima lezione. Leadership, competente e responsabile
La letteratura sostiene che al buon leader non basta una visione ampia e lungimirante, ma occorre anche la capacità di coinvolgere gli altri nella sua realizzazione. La figura di Ciampi, infatti, insegna come visione, carisma, capacità organizzativa e competenza siano le quattro doti imprescindibili del leader. Oggi, il bisogno di un rinnovato senso civico da parte delle democrazie occidentali ha dato forza a a movimenti e partiti radicali, caratterizzati spesso da un accesso «fluido» al cittadino, con un consenso costruito nelle piazze, sui social media e sul web. Il rischio principale di questo meccanismo è di promuovere dei grandi comunicatori, ma non dei veri leader, premiando il sofismo più che un vero progetto. Di fronte ad un populismo dilagante, bisognerebbe chiedersi come selezionare una classe competente ed onesta che sappia ascoltare? Che meccanismi istituzionali o politiche hanno creato un terreno fertile per i movimenti anti-Europa ed anti-establishment?
La seconda lezione. Metodo democratico e dialogo
Nella filosofia socratica il dialogo è uno strumento che permette di confutare l’errore ed arrivare alla «verità», facendo emergere l’inconsistenza di determinate opinioni e convinzioni. Il dialogo è uno strumento di consenso antitetico sia ai meccanismi propri dei fenomeni autoritari, sia al populismo, definito da Platone come «dittatura della maggioranza». Al contrario, il dialogo rappresenta l’essenza della democrazia stessa, ma per avere piena funzionalità, necessita di meccanismi di rappresentanza ben disegnati ed una classe dirigente che abbia a cuore il futuro del Paese. Un buon esempio di dialogo è stata la «concertazione», iniziata dal governo Amato e terminata dal governo Ciampi, con cui si giunse allo storico accordo tra Confindustria e Sindacati dell’estate del 1993. A seguito dell’attacco speculativo dell’estate 1992 e della grave svalutazione della lira, che ha comportato l’uscita dell’Italia dallo Sme, era necessario prendere decisioni importanti e condivise che permettessero di fermare la spirale inflazionistica e non precludere l’entrata nell’euro. L’accordo, fra posizioni apparentemente inconciliabili, svincolava l’aumento dei salari dall’inflazione, ed introduceva una politica dei redditi e dell’occupazione completamente nuova basata su una contrattazione duale, contratto nazionale e contratto decentrato, ed aumenti legati alla produttività. Oggi, la crisi e le pressioni esterne non sono certo minori, quello che manca forse è una forte visione politica di lungo periodo che permetta una sintesi e la chiara gerarchia dei vari interessi.
La terza lezione. La politica come servizio
Ciampi, ricordando le decisioni coraggiose dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, scrisse, «(quelle furono, nda) scelte prese da chi aveva una visione da uomini che non cedevano al loro elettorato. A confronto degli uomini d’oggi, erano dei giganti». Nel corso del suo mandato, Ciampi si è sempre ispirato a questo modello di classe dirigente. Promotore di riforme coraggiose, che hanno permesso all’Italia di entrare nella moneta unica da protagonista, Ciampi ha definito alcuni capisaldi della politica economica italiana: l’indipendenza della Banca d’Italia e la riforma bancaria. Nel 1981, Ciampi, Governatore della Banca d’Italia, insieme all’allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, decisero di separare lo Stato dalla Banca Centrale, impedendo a quest’ultima di acquistare i titoli del debito pubblico rimasti invenduti sul mercato. L’autonomia della Banca Centrale ha impedito che la politica monetaria continuasse ad essere usata come antidolorifico per nascondere l’incapacità di curare mali più profondi dell’economia. Tale riforma ha obbligato la politica alla responsabilità di bilancio, dopo che per anni si era finanziato il consenso elettorale con scelte spesa pubblica a discapito delle nuove generazioni. Nel 1998, in vista dell’entrata nell’euro, Ciampi completò il processo di ristrutturazione bancaria iniziato con la Legge Amato nel 1990. La legge marcava in modo netto l’indipendenza fra banche e fondazioni, prevedendo un regime privatistico e una definizione di governance, che ne scandisse l’indipendenza dalla politica locale. Inoltre, la riforma bancaria imponeva alle fondazioni di cedere, entro quattro anni, le proprie partecipazioni di maggioranza nelle banche, dedicandosi esclusivamente ad attività no profit sul territorio. Sorge spontaneo domandarsi quale sarebbe oggi la situazione di Montepaschi e di molti risparmiatori, se la visione di Ciampi-Amato non fosse stata stravolta dalla «controriforma» del 2001, che ha previsto la preponderante partecipazione locale della politica nei consigli delle fondazioni al controllo delle banche. Nei sette anni del suo mandato come Presidente della Repubblica, l’azione di Ciampi fu espressione di buon governo, svolto con grande spirito di servizio nei confronti della cosa pubblica e del Paese. «La misura di un uomo è cosa fa del potere» scriveva Platone e forse bisognerebbe valutare di pubblicare questa frase bella in grande fuori da ogni urna.
La quarta lezione. L’etica dello «sta in noi»
L’esperienza di Ciampi riflette l’aspettativa degli elettori e spesso anche quella di molti politici sull’intervento di un deus ex machina, cui affidare la risoluzione, spesso non facile, di criticità accumulate negli anni. Ignazio Visco scrisse, in un elogio sul Sole24Ore, come la figura del grande statista avesse rappresentato «una fiducia nelle possibilità dell’Italia e della sua gente». Ciampi infatti credeva nell’importanza di sviluppare l’etica dello «sta in noi», l’etica dell’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini e soprattutto della classe dirigente. Arrigo Levi chiese a Ciampi, in un’intervista su La Stampa nell’aprile 2011, quali errori politici fossero responsabili del sentimento anti-europeista, dilagante in Italia ed in Europa. La risposta dell’ex presidente del consiglio fu profetica: «Mi chiedi come si possa tenere viva la lezione della storia. Ma questo è un problema eterno. Sta a noi tutti affrontarlo, ma soprattutto a chi ha delle responsabilità istituzionali. E sta ai popoli scegliersi dei leader che abbiano una visione storica alta. Il voto va utilizzato bene». Il voto oggi sembra svuotato del suo valore di diritto e dovere civico, che sostiene una visione o un progetto. Viene spesso declinato come espressione di protesta, più per punire che per costruire. I partiti quindi sembrano rincorrersi in una lotta al ribasso e solo una coscienza collettiva di grave responsabilità potrebbe distoglierci da questo circolo vizioso. «Con la ripresa morale e civile coincide anche quella economica di cui c’è bisogno», scriveva Ciampi e forse il punto è proprio questo: che il superamento della crisi economica, non può passare solo per le riforme, ma deve partire dalla soluzione di un male più profondo: la crisi morale e civile che affligge il nostro Paese.
La quinta lezione. Il rispetto delle istituzioni
I meccanismi istituzionali sono importanti perchè da loro dipende il buon funzionamento della democrazia. Come vengono eletti i rappresentanti dei cittadini, come vengono formulate ed approvate le leggi, come trovano equilibrio i vari poteri dello Stato ecc. è essenziale non solo per il buon governo, ma soprattutto per creare un meccanismo di coinvolgimento, e non di antitesi, fra Stato e società civile Di questa esigenza Ciampi si è fatto portatore esemplare. Nel 1993, in piena bufera Tangentopoli, su richiesta dell’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, Ciampi si dimise dalla Banca d’Italia per formare un governo tecnico di transizione, diventando il primo Presidente del Consiglio non parlamentare della storia della Repubblica. «Ho sempre dichiarato che ritenevo un’anomalia nella tradizione italiana una guida del governo da parte di un non-parlamentare. […] Ritenni necessario darmi subito un metodo di lavoro che di quell’anomalia riducesse i rischi ed esaltasse, invece, le opportunità» scriveva Ciampi (Un metodo per governare, Bologna, il Mulino, 1996). E così, sotto la grave crisi di fiducia che segnò la fine della Prima Repubblica, Ciampi decise di ridare al Parlamento il ruolo cardine sancito dalla costituzione – quello della rappresentanza nella sua espletazione del potere legislativo. Troppo spesso, infatti, le decisioni venivano prese dalle segreterie dei partiti o nelle riunioni precedenti il Consiglio dei Ministri. L’insegnamento di Ciampi è fondato sul rispetto dei meccanismi istituzionali per guidare e tenere unito il Paese. Per quanto riguarda l’Europa, quando si fece la moneta unica, Ciampi coniò il termine «zoppia», ossia il «peccato originale» di un sistema monetario dotato di una banca centrale, ma non di un governo centrale dell’economia unico. A diciassette anni dall’avvio dell’euro, questa grave lacuna nel tessuto istituzionale e la grave mancanza di visione d’insieme e strumenti che ne deriva è un elemento che va ad alimentare tensioni anti-europee. Nella grave crisi politica che attraversa l’Europa ed il Paese, di questo mi sembra che abbiamo più che mai bisogno: leadership, dialogo, spirito di servizio, responsabilità, senso civico e meccanismi istituzionali moderni. Platone ne “La Repubblica” (VI, 484b-c) scriveva: «Così, risposi; costituire guardiani quelli che diano garanzia di saper custodire le leggi e le tradizioni degli Stati». Compito tutt’altro che facile. Ma il problema non può rimanere insoluto, poiché la posta in gioco è un valore essenziale, la democrazia stessa.